02 settembre 2015

Andrea il meccanico

Andrea era il più bello di tutti. Aveva capelli neri, ma proprio nerissimi come il carbone e grandi occhi nocciola, su cui si aprivano ciglia nere, lunghe, definite. Quando tagliava la legna a torso nudo non potevi non notare quei bei pettorali disegnati, tant'è che pure le mogli degli altri li  ammiravano eccome e c'era chi restava incantata con la scusa di spolverare gli stipiti dell'uscio, per guardarselo ben bene.
Ma la cosa più bella forse era la fossetta che si creava sul mento quando sorrideva, che anche le sue due piccine Chiara e Vanna, l'avevano uguale, tant'è che lui orgoglioso delle sue bimbe, vedendole sorridere esclamava "a len de la me raza!".
Lo presero nel corso del  rastrellamenti lungo quel tratto di linea gotica e lo portarono a Auschwitz con altri soldati italiani.

La moglie Emilia rimase sola con le due bambine, i tedeschi si piazzarono nella loro casa e in quella di Otà, che distava un centinaio di metri. Che poi l'Emilia lo ricordava che non erano tutti cattivi i tedeschi, quei soldati erano giovani e alcuni di loro piangevano perchè volevano tornare a casa in Germania. Nonostante Emilia fosse giovane, uno di  quei soldati tedeschi, poco più che un ragazzino, la chiamava "mamma" e le regalò una medaglietta con il volto della Madonna : "Andiamo a Montecassino , mamma! ci mandano a Montecassino, ma poi io ritorno". E invece non tornò più.
Andrea invece fece ritorno da Auschwitz, ma Emilia quasi non lo riconobbe tanto era provato. Si era salvato perché era uno che sapeva fare di tutto, ma in modo speciale lui era un bravo meccanico. Quella che era una passione oltre che un lavoro, un talento condiviso con gli amici che andavano da lui a farsi aggiustare motorette e furgoncini, divenne il suo salvacondotto per attraversare quell'orrore, cibandosi di pane ammuffito e bucce di patate. Un giorno vennero e presero il suo migliore amico Armandino per portarlo nella camera gas. Tratto via a forza piangeva e gridava: Andrea! Andrea! Aiutami! Andrea! mi ammazzano!
Andrea chinò la testa sul carburatore della moto che stava aggiustando, sentiva le lacrime per il dolore misto a un senso d'impotenza. Non poteva ribellarsi, a casa c'era Emilia con le loro due bambine, un gesto di disperazione non avrebbe salvato il suo amico, piuttosto avrebbe segnato anche la sua condanna a morte.
Ma quelle grida non le dimenticò più.
Andrea fece ritorno da Auschwitz, ma solo con il corpo malandato, perché con la mente lui era rimasto là. Quelle vicende d'orrore che aveva visto lassù, se le portò nel suo quotidiano, solo il vino, tanto vino, poteva cacciare quelle scene che lui aveva visto e a cui gli altri faticavano a credere. Più di tutto, se c'è una graduatoria  nella mostruosità , i neonati tratti dal ventre della madre squarciato, lanciati in aria e uccisi con un colpo di pistola. 
Nonostante il fisico provato continuò a lavorare, lui che sapeva fare ancora  tante cose, ma la forza di un tempo era solo un ricordo e inoltre la tristezza che gli aveva preso il cuore, se lo divorava ogni giorno sempre di più. Il male che lo torturava non era lenito dalla fortuna di vedere il suo giardino tra i pilastri  riempirsi di fiori e veder crescere le sue figlie belle e brave, che a un certo punto lo resero entrambe nonno. Solo il vino poteva stordire un poco i  suoi fantasmi e poi ripresentarglieli più  angosciosi. 
Quello che era difficile sopportare era sapere che il suo dolore causava l'imbarazzo degli altri, Andrea aveva bisogno di sfogarsi, di essere capito nella violenza morale e fisica che aveva subito, di una condivisione sociale del suo dolore, ma nell'Italia dell'epoca, la voglia di riprendersi e di ricostruire il paese, l'ambizione di lasciarsi alle spalle la miseria e di diventare tutti ricchi, c'era la voglia di confinare quei racconti nel passato e che insomma, cosa voleva? essere sopravvissuto non era già una fortuna? e questo non faceva certo di lui un eroe.


14 commenti:

diego ha detto...

un testo molto bello, che rileggerò ancora, più volte

Nuvola ha detto...

Io quasi ogni estate mi rileggo "Se questo e' un uomo."
Anche Primo Levi mori' suicida, molti anni dopo, quando era già' vecchio, perche' probabilmente non poteva "dimenticare".
Il suo libro e' di una pacatezza incredibile.

Non posso immaginare come si sentisse Andrea.
Certe esperienze estreme (ma anche solo forti) ti cambiano, magari torni alla normalità apparente ma niente e' più come prima.

Scrivi molto bene, Sara, e' sempre un piacere leggerti.

LaLaura ha detto...

Anch'io credo fermamente che lo scoglio più duro per tutti i superstiti tornati dall'inferno sia l'imbarazzo degli altri per tanto dolore di cui son portatori e testimoni, oltre che vittime. Deve essere tremendo sentirsi così tanto abbandonati, soli ed incompresi.Sono impazziti in molti. Anche mio nonno.
Che divenne pazzo, con grande vergogna della famiglia.

Ma è difficile per tutti stare vicino al dolore, guardarlo dritto negli occhi. Anche oggi ! Non solo nell'Italia della ricostruzione

Anpalu HeliAn ha detto...

La poesia del racconto rende umano ciò che a prima vista all'umanità non sembra appartenere. Ma una volta che ti hanno strappato l'anima, solo la morte può renderti
pace!

Anonimo ha detto...

Dietro questo racconto ben dettagliato si nasconde altro,Andrea meccanico dagli occhi di cerbiatto non riesce a dimenticare... lui non vuole dimenticare.

Sara ha detto...

Anonimo sei anche uno psicologo?

Mariella ha detto...

Ciao Sara, torno a leggerti mentre dai prova di un racconto di cotanta forza.
Andrea è un altro fantasma ritornato che non dimenticheremo.
Grazie.

UIFPW08 ha detto...

Chi si accontenta gode..volevo fare il fotografo..non il fotoreporter
Un bacio Sara.

Claudia ha detto...

Quante storie importanti ci racconti.
Chi sopravvive non è un eroe, ma sopravvivere a certe esperienze richiede un coraggio eroico, ogni giorno della vita.

Anonimo ha detto...

Toccante. Ognuno elabora a modo suo:mio padre,dopo la deportazione e due anni di patate e bucce , tornò e non ne parlò mai Non mangiò mai più patate in nessun modo. Mio suocero , prigioniero in Africa ,tornò ,ne parlò tutti i giorni della sua vita e non mangiava cibi cosparsi di farina o zucchero : gli ricordava la sabbia della prigionia ,masticata in quel periodo.
E' vero : a volte ci vuole più coraggio a vivere che a morire.
Laura R

Vera ha detto...

Mi piace molto questo tuo ritrovato filone narrativo descrittivo Sara.

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Inutile dire di chi sia e come si intitoli penso che tutti lo sappiano, spero che tutti lo sappiano.

Ernest ha detto...

un ottimo testo Sara che dovrebbe far riflettere...

Patalice ha detto...

sposare la realtà fino in fondo...
bello

Marco Poli ha detto...

Mah ...
i neonati tratti dal ventre della madre squarciato, lanciati in aria e uccisi con un colpo di pistola mi sembra una roba impostata e anche troppo sentita, Sara.
Per il resto, il testo rende bene la mestizia dell'offeso.
Ma per trovarla, non c'è bisogno di cercare e documentare un Andrea il meccanico : basta [ guardare in strada ] gli sconfitti della Vita, perché la Vita è Guerra, aldilà delle gnagne pacifiste.

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