La nonna di mio nonno Filomena fu per lungo tempo un'ostessa nella piana di Luni. Anzi, ho serie ragioni per pensare che fu l'ostessa per eccellenza da quelle parti, diciamo tra la fine dell' Ottocento e i tre decenni del secolo successivo. Mio nonno Nandino, che a Luni ebbe modo di trascorrere l'unica vacanza della sua vita, notare che lui veniva da Battilana, cioè a circa 2,5 km di distanza, mi ha raccontato che quella locanda fungeva anche da una sorta di ufficio di collocamento, perchè lì si incontravano quanti cercavano lavoro nelle cave di marmo, con coloro che erano in cerca di maestranze.
Poi non mi ha raccontato altro, perchè tanto mio nonno era fatto così, gli chiedevi qualcosa e partiva per i fatti suoi "Eh, sarebbe bello che l'aprissimo anche noi una locanda a Luni, vicino al colosseo (n.d.r. l'anfiteatro), sai quanta gente, quante famiglie ci verrebbero a mangiare la domenica..." "Si (ghe mancherisse) ma tua nonna..." e lui niente da fare, continuava dritto a seguire l'onda dei suoi pensieri: "Ma te lo sai quanta gente la domenica va a pranzo fuori con la famiglia e vogliono mangiare bene?" e poi rivolgendosi a sua moglie, mia nonna Beatrice "'ne Bia'ma n't'ha insegnat'a la to'nepota a fari da magnar?" e così via, di modo che io della sua nonna Filomena, con molto rammarico, so pochissimo.
So che ebbe tre mariti, dei quali ignoro il nome, e dell'ultimo restò vedova perchè lui, sordo per il lavoro alle cave, una sera rientrando a casa, attraversò la ferrovia, ma non sentì il fischio del treno.
Posso immaginare il suo giardino che poi sarà stato come i giardini poveri delle case di un tempo, dove i fiori si coltivavano anche e soprattutto per portarli al cimitero, così che si tendeva ad avere quelli che avevano il meno possibile bisogno di cure, cercando di garantirsi tuttavia le fioriture mese dopo mese. E così avrà avuto i muscari blu, i narcisi gialli, gli iris bianchi e viola e via via stagione dopo stagione per non restare mai senza.
E la locanda? presumo lì si potesse mangiare di domenica la pasta all'uovo, ovvero"gli stringon con la psela" e "la fritela d'castagnacc" e nei giorni feriali "la pasta al pisto" o "'na po' de polenta". Per chi ne volesse poi ci saranno stati anche la "vergazzata" e il "marligà".
Più o meno i piatti suppongo fossero sempre i soliti, voglio dire era una locanda dove andava la gente comune, gli operai di Fabricotti. A quel tempo la scelta era ristretta per foza di cose, già era una fortuna avere qualcosa nel piatto e anche se qualcuno degli avventori faceva lo spiritoso e le chiedeva "ne Filò, cost'ha fat'da magnar?" io m'immagino lei, l'ostessa Filomena, che gli spiritosi doveva tenerli a bada, avrà risposto: "Per te ai ho fat' la mnestra del cornuto!".Che poi sarebbe la pasta in bianco, quella più elementare, in ragione del fatto che la presunta moglie perde tempo ad andare in giro e cucina in fretta e furia.
Così se vi capita di rinvinire nel secchio dell'immondizia un involucro di "Quattro salti in padella", fate le vostre opportune considerazioni.
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1 commento:
Non parresti aver il "Physique du role" dell'ostessa, ma le apparenze ingannano da sempre....abbraccioti. Marco
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