20 febbraio 2008

Il lavatoio di Vinca

A Vinca c'era un lavatoio. C'era anche un artigiano che faceva i bastoni, piegando il legno con il calore del fuoco, un altro che con le radici degli alberi, ripulite e pennellate di copale faceva bellissime e originali sculture. E una signora che faceva deliziose occhette (anatre?) in miniatura all'uncinetto, adoperando fili dai colori vivaci, come il celeste e l'arancio. Io imparai a farmi i cappelli da squaw con le foglie di castagno.
Non andavo ancora alle elementari e passai la mia vacanza là con la mia famiglia, i miei zii e i miei adorati cugini Gianni e Paolo.
Andavo al lavatoio ed era come un gioco, sotto il sole estivo. C'erano tante donne al lavatoio e l'acqua era bianca dal sapone. La gogna che ti faceva andare di bocca in bocca, era farsi scivolare il sapone giù, dentro il vascone, ma le donne si erano attrezzate con un bastone munito di un chiodo sulla punta e così cerca e ricerca, a tentoni nell'acqua bianca, magari il sapone lo ritrovavi.
Non aveva credo nessuna peculiarità il lavatoio, me lo ricordo di cemento, un po'sciupato in alcuni punti forse, ma non l'ho mai più dimenticato.
Tante volte mi è venuta voglia di tornare a Vinca, ma non so perchè c'è stato sempre qualcos'altro da fare. Fino allo scorso anno, ed è stato un caso. Accompagnavo il mio amico Hubertus in giro per il Comune di Fivizzano e quando ho visto il cartello che segnalava Vinca, sono diventata incontenibile "Si! andiamo a Vinca! andiamo a Vinca!".
E così andammo a Vinca e Hubertus guidò a lungo nel cuore del parco delle Apuane, fino a che arrivammo e per prima cosa vidi un cassone enorme di cemento, una cosa che non so spiegare, ma quello non era il mio lavatoio! O si?
E Hubertus proseguì per andare a parcheggiare sotto i castagni, a margine della strada, praticamente all'imbocco dell'abitato. E così debuttammo a Vinca, lui così palesemente tedesco,di Monaco, con quella macchina d'epoca, l'antenata della Duetto e io con i tacchi alti e un vestitino a fiori, piuttosto italica direi. Ai lati della strada, sotto i castagni, vecchie sedie comunitarie ad uso di chi volesse prendere un po'il fresco e vedere chi passa. E ci guardavano tutti.
Io avanzai verso una signora anziana, seduta sullo scalino di casa e le chiesi del lavatoio, cioè se quella bruttura che avevo visto era il mio lavatoio. E lei attaccò a inveire contro il nuovo lavatoio, se non che io rincarai la dose e anche per rassicurarla che io non ero una "furesta" mi feci riconoscere esclamando nella nostra lingua ligure apuana:"quand'a ni nè, a ni nè!".
Con gli occhi di tutti addosso, iniziammo a girare il paese di Vinca, Hubertus per la verità molto controvoglia, lui che ama l'Italia dai tratti rassicuranti e gozzaniani, i caffè, le dimore patrizie, i cipressi, si sentiva a disagio in mezzo a quegli sguardi che per lui erano selvatici e ostili. Gli feci un breve cenno ad un clamoroso eccidio compiuto dai tedeschi proprio a Vinca durante la seconda guerra mondiale, quasi a giustificazione di quell'atmosfera sfavorevole che lui avvertiva e lui mi rispose "ma lo sanno questi che la guerra che è finita da un po'?", ma io ero troppo presa dalla voglia di perlustrare il paesino dei miei ricordi, arrampicata sui tacchi e me lo trascinai dietro su e giù per i sentieri fatti a scalette.
E rividi la casa dove ero stata un tempo e pure le scale dove sedeva la signora che faceva le occhette all'uncinetto. Mentre Hubertus, che pure è uno che ha viaggiato nei luoghi più remoti del mondo, diceva che gente così selvatica non l'aveva mai incontrata. E io invece era come se fossi tornata a casa, nel grembo più intimo e incontaminato della Grande Madre Apua. E tanto il mio amico era infastidito, quanto io ero come inebriata.
E arrivammo al lavatoio. Tre donne anziane sedute sullo scalino lì accanto. E ci girai intorno, lo toccai, ma non era più il mio lavatoio. Era un cassone dove l'acqua avanzava verso il bordo. Come si faceva a lavare i panni lì dentro? Non c'era l'acqua bianca che ricordavo io, ma un' acqua quasi ferma, quasi morta, quasi marrone. Nessuno lavava più i panni lì dentro!
Attaccato al muro un pannello a descrizione della sapiente opera di restauro del lavatoio finanziata, mi pare con fondi comunitari.
Ero sgomenta. Cercai conforto con dalle tre signore anziane; mi dissero che l'affare non drenava bene, insomma l'acqua non scorreva via "e tocrì usar l'architeto chi l'ha fat'per stappar' 'l buc'" insomma pure loro erano molto arrabbiate.
Al ritorno, in auto, passammo innanzi a un cippo che segnalava che nei secoli, si erano arrampicati fin là a far danni i Romani prima, poi i Saraceni, poi i nazisti.
Nemmeno nel cuore delle Apuane si può star tranquilli.
Povera Vinca, povero il mio lavatoio!

1 commento:

Anonimo ha detto...

nei lavatoi si sono sempre svolte storie incredibili,io ci andavo a fumare a 8 anni.....+39wolf