La parola, “rapallizzazione”, concepita dalla fantasia di Indro Montanelli, indica lo scempio di un territorio a opera degli speculatori. E’ quello che capitò a Rapallo dopo il giugno 1969, data di inaugurazione dell’A12 Genova-Livorno. Prima di allora, venendo da nord, si doveva rampicare sull’Appennino fino ai Giovi e come premio, finalmente, Genova. Il mare. Poi, con la comodità dell’Autofiori, una glassa di cemento cominciò a colare sul Tigullio. Migliaia di seconde case per milanesi e torinesi, condomini metropolitani che si inerpicano a monte.
Rapallizzata o no, è ancora così bella la Liguria. Così esotica, con la sua eleganza scabra e mudejar. Talmente stretta, però. Montagne che precipitano in mare, spazio vitale ridotto all’essenziale. Ci vuole un fisico bestiale, per essere liguri.
Se qui alle Cinque Terre, patrimonio Unesco, dove sto camminando sotto un sole feroce, i fiori di agave che si slanciano in cielo e il mare trasparente a precipizio, se qui cemento non ne è colato troppo è perché di spazio non ce n’è. Anche se ci stanno provando in tutti i modi, tanta bellezza fa troppa gola. Ma si tratta di una bellezza fragile. Solo il naturale talento ingegneristico dei contadini scorbutici ha impedito alle montagne di franare in mare. La mirabile invenzione furono i muretti a secco -messi tutti in fila farebbero una Grande Muraglia- e i terrazzamenti a cui aggrappare viti da Sciacchetrà, vino dolce e meditativo. Un secolo fa le terrazze erano il 60/70 per cento del territorio, oggi siamo al 18. La ri-naturalizzazione qui è pericolosa: se cadono muri e terrazze cadono anche le Cinque Terre.
Sono in marcia con i miei scellerati infradito sul sentiero tra Manarola e Corniglia, e poi di qui a Vernazza e a Monterosso, io e un’altra ventina di pellegrini al seguito di due ben più eroici marciatori, Riccardo Carnovalini ed Elisa Piccoli, che l’arco della Liguria lo stanno percorrendo tutto, da Carrara a Ventimiglia, tra pini e lecci, carrugi e borghi antichi. Silenziosa ragazza bolzanina lei, sta filmando il cammino con una videocamera a spalla per farne un documentario. Spezzino trapiantato nelle Alte Langhe lui, fotografo ma ancora prima ipercinetico camminatore, 35 mila km nelle gambe: tra le sue imprese la circumnavigazione della penisola, 4 mila km dalla Slovenia alla Cote D’Azur. Doveva esserci anche Alex Muzi Falconi, il veterano, che a realizzare CamminAmare, questo il nome dell’impresa, aveva lavorato con passione. Ma se n’è andato un giorno del maggio scorso. Cammina con noi, in spirito.
Racconta Carnovalini: “Se si confrontano le foto di 23 anni fa e quelle del 1970 di Italo Zannier con le immagini degli stessi scorci come sono oggi, il degrado del territorio è evidente. Negli anni Sessanta-Settanta il disastro è stato la cementificazione, oggi lo scempio si sposta a mare, con la proliferazione dei porticcioli turistici: parcheggi per barche, li chiamo io, migliaia di vele e “ferri da stiro”, status symbol fermi 11 mesi l’anno. Nuove edificazioni che cambiano il giro delle correnti, provocando l’erosione della costa. Un business colossale. Si parla di altri 13 porti, tra edificazioni e ampliamenti”. Mancano i depuratori, ma non le boe intelligenti, per affittare telematicamente ormeggi in rada.
Della surreale megadarsena da mille posti-barca (progetto Marinella) che dovrebbe sventrare la dolce piana del Magra, punto ancora intatto dell’estremo levante ligure, vi avevamo già parlato. Iter di approvazione completato, l’ecomostro sarebbe in dirittura d’arrivo. Ma ci sono progetti anche per Sestri Levante, Lavagna, Santa Margherita, Rapallo, e un po’ lungo tutta la costa, nuovi porti con annesse edificazioni. A marzo il governo ha varato un “Fondo per il ripristino del paesaggio”, 45 milioni da spendere in 3 anni per l’abbattimento di orrori e abusi. Ma a che cosa serve tirare giù un ecomostro se poi se ne autorizzano altri dieci? Secondo l’Istat la Liguria è la regione italiana che perde più terra in favore del cemento. Tra il 1990 e il 2005 il territorio “sgombro” è passato da 249.000 a 135.570 ettari, per quanto la popolazione continui a calare. Seconde case, alberghi, barche: una regione-hotel che in bassa stagione si svuota.
I liguri fanno la faccia storta per i “foresti” invasori, peggio dei pirati e dei mori che per secoli li hanno assaliti dal mare. Ma poi si lasciano sedurre dall’idea di un po’ di “vita smeralda” o almeno fortemarmina, cumenda e ragazze al silicone, gente che spende e spande e porta dané. Cosa su cui puntano, per assicurarsi il consenso, gli amministratori locali di destra e di sinistra, compattamente schierati a favore di quella che a breve, altro che rapallizzazione, potremmo dover chiamare “ligurizzazione”. A meno che non intervenga velocemente un po’ di buon senso. Non sono, anche gli amministratori, buoni padri di famiglia? (madri, poche). E invece chiunque levi una voce in sfavore è visto come un disfattista. “Quasi non se ne può parlare” mi dice un collega della stampa locale. “L’unica idea di gestione del territorio è lo sviluppo cementizio”.
A Corniglia, “aquila” delle Cinque Terre, aggrappata in alto su uno sperone di roccia, per fortuna ci accolgono con gentilezza. Un po’ d’ombra sotto i platani, noi e una decina di americani paonazzi: c’è un vero boom dei turisti yankee. Della famosa spiaggia di Guvano, quella nudista e freak, è rimasto poco, erosa come le altre spiagge. Ma i pirati non arrivano solo dal mare. Per fare qualche esempio: c’è un progetto di funivia, ideato dall’Ente Parco delle Cinque Terre, che da Riomaggiore porta a un ex-forte militare, il forte di Bramapane, recentemente acquisito da un’immobiliare di Pavia che con ogni probabilità conta di farci un business. A Pitelli, Golfo dei Poeti, c’è una discarica piena di rifiuti tossici. Qui a Corniglia, a picco sul mare, tra resti di oleandri e bouganvillea, c’è il villaggio Europa, un agglomerato fatiscente di bungalow di legno, non senza un suo fascino délabré. Peccato che contenga amianto, e che il villaggio –dicono- sia tuttora abusivo. Peccato che ora vogliano farci una megaspeculazione, 6000 metri cubi di hotel a picco sul mare. La battaglia infuria: gli ambientalisti del Vas -Verdi, Ambiente e Società- hanno vinto al Tar, la proprietà ha fatto ricorso, sempre con il bizzarro appoggio dell’ente Parco.
Spalmati di solari si riprende il cammino nella macchia, tra mirto e lentisco. Per borghi e sentieri si potrebbe arrivare fino a Genova: “C’era un vecchio progetto, chiamato Verdeazzurro” spiega Carnovalini. “Un’unica camminata per tutto il levante, tra boschi e mare. Ma non se ne parla più”. Il turismo a piedi sta conoscendo un boom, orde di pellegrini che traversano l’Europa: Santiago, la via Francigena, agenzie specializzate. L’Italia potrebbe diventare il paradiso dei camminatori, tra colline, spiagge e città d’arte. Una signora piemontese in marcia con noi, Ines Cavalcanti, illustra di un progetto di cammino, dal 30 agosto al 7 novembre in territorio occitano. Una dozzina di valli piemontesi, e poi la Provenza e la Gascogne fino a Viela, Catalogna: tutti posti dove si parla ancora la langue d’Oc (se interessa: www.chambradoc.it). Chi va a piedi è un viaggiatore gentile. Ma certo non spende molto, e non promuove “sviluppo”.
La salita fino a Prevo, piccolo borgo, si fa sentire. 8 chilometri di marcia in infradito, e ho una vescica a un piede. Ma si comincia a scendere, ed ecco Vernazza che si protende in mare con i suoi colori. Nei carrugi profumo di pane, basilico e sapone di Marsiglia. Un tuffo dal moletto nel mare limpidissimo. Me lo meritavo. Milano è a due ore da qui. Non ci si crede.
(pubblicato su “Io donna”-”Corriere della Sera” il 2 agosto 2008)
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1 commento:
Ma chi è questa babanassa che va a farsi i sentieri delle cinque terre con le infradito? E sì che io non dovrei parlare...
L.
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