26 maggio 2013

Lo scotto in Battilana


post del 2009, dedicato all'epoca e oggi alla memoria di mio zio Oreste di Bonascola, uomo mite, onestissimo e distributore di sorrisi e anche di qualche lacrima pure a distanza di 25 anni da quando ci ha lasciati.

Credo siano passati quasi una trentina d'anni. All'epoca anche persone di estrazione modesta potevano farsi una casa senza tribolare più di tanto. E così i miei nonni di Battilana acquistarono una vecchia casa per risistemarla insieme a mio zio e farne l'abitazione per lui e la sua famiglia (per Battilana si rimanda nota n.1).
Ricordo che anche se certamente il grosso del lavoro lo fecero i muratori,ci furono contributi un po'tutta la famiglia, bimbi compresi. In modo particolare è restata impressa nella mia memoria una divertentissima giornata di demolizione, di mura e calcinacci che mi sembrò un gioco. Anzi, era un gioco! 
Nelle campagne, nei contesti rurali e di clan, come Battilana appunto, era normale che i ragazzini dessero una mano alle faccende dei grandi, che si trattasse della vendemmia o della raccolta delle patate, era vissuto tutto spensieratezza e poi mio fratello ed io lo sentivamo anche un po'come un nostro dovere.
Le mie cugine no, loro non venivano nemmeno a fare la vendemmia, però si sono pregiudicate per sempre, secondo me, quelle bellissime parate sul carro trainato dal trattore di mio nonno Nandino, al ritorno dai campi, quando noi bambini  ci sperticavamo in saluti per farci vedere da tutti , nel privilegio di esser seduti sul carro, tra i bigonci pieni d'uva bianca e nera.
I miei nonni sono sempre stati dei lavoratori infaticabili, all'epoca della casa in costruzione poi erano giovani e quindi il progetto di mio zio andò a buon fine. Era usanza a quei tempi che  una volta che i lavori terminavano il tetto della casa, fosse issata una bandiera sull'edificio. Di solito ci piazzavano la bandiera italiana: attenzione sto parlando di un'usanza che precede cronologicamente i clamori del Mundial del 1982 e tanto meno la voglia di bandiere, divise e istanze similmonarchiche che da oltre un decennio pervade,nella forma, un Paese sempre più allo sfascio e allo sbagascio.
No!All'epoca si piazzava sul tetto della casa una bandierina tricolore e stop. Senza tante storie. Un piccolo rettangolo di stoffa poco più grande di un fazzoletto.
I miei nonni invece fecero svettare sul tetto della casa una bandiera rossa : eravamo o no in Battilana?!
E' palese che in questa ritualità ci sia qualcosa di arcaico: l'eco di una leggenda, presente un po'in tutte le culture, che vuole che la fondazione di una città, di più di una civiltà, sia caratterizzata alla sua origine dall'uccisione di un serpente, di un drago, insomma, di un bestio infilzato da un'asta. 
Oggi non lo so se si usa sempre piantare la bandiera italiana sul tetto di una casa di nuova costruzione. Non credo. Intanto perché ci sono sempre meno privati che si possono fare una casa per fatti loro, proliferano infatti le villette a schiera, le ditte edili vanno di fretta, ma soprattutto, i muratori sono per lo più stranieri, magari nella stessa ditta operano nazionalità diverse, ragion per cui non mi sembra chiaro quale bandiera sarebbe legittimo piantare. 
Ma la ritualità battilanese non terminò con la bandiera, proseguì infatti  con "lo scotto". Io, bambina che andava per i 10 anni o giù di lì, non sapevo cosa fosse , salvo poi viverlo in prima persona in quella notte d'estate in cui i miei nonni, per "pagare lo scotto" invitarono a cena tutti i loro parenti di Battilana e anche alcuni di Bonascola, cioè mia zia Maria "di Candia", sorella di mia nonna Beatrice e il marito di Maria, lo zio Oreste.
E così ci fu festa nell'aia dei miei nonni quella sera, dove in tantissimi mangiammo spaghetti conditi con un memorabile sugo di granchi preparato per tutti dallo zio Orè.
Quanti eravamo quella sera seduti ai tavoli imbanditi nell'aia dei miei nonni!
Forse eravamo anche in troppi, almeno per i miei gusti perché tra i convenuti c'era un mio cugino di secondo grado, tale Francesco, un ragazzino poco più grande di me, il quale da buon antipatichello mi disse che il completino di raso rosso, con i pantaloncini e la canotta,che indossavo non era un originale della Adidas! Me lo disse come se mi fossi macchiata di chissà quale onta! Francesco! così giovane e così st..zo! E ora che ci penso anche bugiardo!
Ma a parte il Pierino battilanese, fu una serata di allegria condivisa, che dopo la cena proseguì con la musica della fisarmonica di mio nonno Nandino.
Nonno se ora mi stai ascoltando dal Paradiso dei Comunisti, ti voglio dire che se all'epoca ti avrò dato l'impressione di preferire le canzoni di Miguel Bosè alla tua musica,  (sempre meglio delle mie cugine che erano fissate con Pupo!) tuttavia vorrei farti sapere che per me era un privilegio quando ci facevi ascoltare la tua fisarmonica, era impossibile resistere al quel buonumore contagioso!
Come fu la notte d'estate dello scotto, tra le risate, i motti di spirito che passavano da un tavolo all'altro, divertenti, ma mai salaci, perchè io non mi ricordo di avere udito nella mia infanzia battilanese, cose sconvenienti per i bambini (vedi nota 2).
Ma colui che strappò più sorrisi e risate a tutti, fu come al solito lo zio Oreste, la cui presenza era già di per sé garanzia di buonumore. E si rincorrevano le voci e si levavano dai tavoli "Oh Orè!" "Ne Orè, ven po'chi! Ven'a ber un po'd'vin'!" E ancora "e per il cuoco Orè hip hip urrà!"
E tutti quanti in coro, a squarciagola: urrà!!!
Non era certo un campione quanto a bellezza, mio nonno Nandino  infatti per pigliare in giro bonariamente quel suo cognato, lo chiamava Rodolfo Valentino (sempre meglio di colui  che sempre a causa della mancata avvenenza  da mio nonno si beccò l'appellativo di Negus o dell'altro che restò a vita soprannominato Il Marziano, soprannome poi ereditato dal figlio detto Il Marzianin), nondimeno tutti adoravano Oreste,  quel uomo alto, dal sorriso dolcissimo, a cui la mia famiglia deve tanti momenti felici.
E'mancato pochi anni dopo, non ancora sessantenne, non so se fece in tempo ad andare in pensione dalla fabbrica in cui lavorava, la storica Coca Apuania(vedi nota 3). 
Quantunque acquisito, mio zio Orè è una delle persone che ha lasciato i ricordi più belli della mia infanzia e voglio ricordare a distanza di tempo la sua grande bontà e tutta questa storia della festa dello scotto in Battilana è dedicata a lui.


note
1)Battilana è in provincia di Massa Carrara, al limite tra la Toscana e la Liguria: i suoi abitanti si caratterizzano per non avere i tratti rinomati degli abitanti né dell'una né dell'altra regione, dal momento che noi liguri apuani, non siamo come pensa erroneamente qualcuno "misti", siamo decisamente ALTRI. E siamo soliti a frequentazioni prestigiose. Su Battilana , sui costumi dei suoi abitanti e sul lessico e sulla mitologia battilanese ho scritto in diverse occasioni, in altro a sinistra nella pagina, è possibile effettuare un'interessante ricerca, fermo restando il fatto che io sono una battilanese per metà, per giunta trapiantata e cresciuta altrove, cioè a almeno due km da Battilana centro.

2) devo precisare il concetto: all'epoca mi capitava di udire assai di frequente espressioni , per altro gratuite, pronunciate in linguaggio poco riguardoso nei confronti di Santa Romana Chiesa, ma diciamo che non ricordo nel corso delle mie estati infantili battilanesi di aver udito un modo di scherzare volgare, o comunque non adatto a orecchie infantili che avessero a che fare con la sessualità.

3)davvero storica la cosiddetta "Coca Apuana" come l'hanno sempre chiamata da queste parti, il cui nome vero è Italiana Coke.

8 commenti:

MR ha detto...

dolce questo racconto... mi ricorda tanti squarci della mia infanzia. anch'io vendemmiavo con i miei nonni, comunistissimi, e a quante nascite di case ho assistito. :)

Francesco ha detto...

indietro di oltre 30 anni... che memoria, ma d'altro canto con il lavoro che fai.... :-)

Adriano Maini ha detto...

Questo racconto é un romanzo straordinario di umanità. I miei più vivi complimenti per la tua brillante scrittura e le mie più calde felicitazioni per le tue intense e significative esperienze di famiglia!

semola ha detto...

Bello ... il commento al tuo post mi verrebbe piu' lungo del post.
Mi hai riportato alle vendemmie in "Bassa Grande" ... una festa per la mia famiglia, quella dei miei zii, e tutti i loro amici, fatica ... gioia e.... polenta e stoccafisso.
Dov'è finito tutto questo essere felici di poco e con poco...
La bandiera... mio babbo muratore o/e imprenditore edile la metteva sempre assieme a un rametto d'ulivo e l'immancabile fiasco di vino.... questo è stato l'uso di questa bandiera di stoffa pesante.... fino ai mondiali dell'82. Lì noi bambini abbiamo capito che aveva anche un'altra funzione.....

UnUomo.InCammino ha detto...

Ricordi che mi ricordano i miei.
Ora per i regaz è diventato tabù anche qualche piccolo lavoretto.
Assolutamente no buono questo.

Vera ha detto...

Si Sara, qua e la ancora si vede ancora una bandiera sul tetto, e talvolta l'ho vista persino albanese, dopo il primo stupore ho pensato che è bello ritrovare usi comuni in popoli distanti, in fin dei conti ci si assomiglia tutti.

Stefania ha detto...

un racconto che rimane dentro. Brava. Sono davvero contenta di aver letto un tuo commento da me. spero di vederti ancora!

Kylie ha detto...

Una volta si facevano spesso di queste feste al termine di una costruzione, adesso mi pare un po' passato di moda.

Un bacione