17 febbraio 2008

Se tu riguardi Luni...

O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.

Quando Dante venne in Val di Magra, tra gli autoctoni si diffuse una certa agitazione. Un po' come quella volta che dove lavoro io si sparse la notizia che sarebbe venuto il Ministro, anzi la Ministra e i nostri dirigenti fece arrivare ben 4 donne delle pulizie, io stessa pulii a fino molte finestre in quella circostanza, se non che la Ministra invece non venne e tirò innanzi fino a Sarzana.
Che siamo un po'sempre i soliti, noi liguri apuani, con il senso di essere inadeguati innanzi al "foresto" e poi quanti aspettavano lui, nel 1306, figuriamocelo un po'! Sapevano che era un fiorentino, un istruito, uno che viene dalla città, insomma più o meno come recita l'incipit dell'Odissea, uno che aveva viaggiato molto e aveva conosciuto l'indole di molte persone...
Quindi arrivò a Fosdinovo e piazzò le sue cose in una piccola stanzetta del castello e i padroni di casa, i marchesi Malaspina, erano tutti contenti di averlo con loro,sebbene lui fosse piuttosto triste per via dell'esilio.
Io ho idea che gli furono affidati due accompagnatori per condurlo a zonzo per la mia valle, uno giovane, robusto, dai modi un po'spicci, casomai ci fosse stato da redarguire qualcuno che avesse voluto fare lo spiritoso con il Poeta, che mica ci si poteva permettere di fare brutte figure con uno così, che poi dopo lo scriveva e restavamo sputtanati a imperitura memoria!
L'altro accompagnatore, secondo me, era un chierico anzianotto, uno di un certo spessore culturale, onde evitare di fare la figura degli ignoranti presso i posteri; voglio dire, ci voleva pur qualcuno che potesse rispondere alle curiosità del Poeta, circa la mia terra. E dunque i due lo portarono in giro.
Egli volle andare anche a Luna. Dove però non vide quasi niente, dal momento che la città era ancora tutta interrata e i suoi due accompagnatori stavano sulle spine a stare lì, in mezzo a quelle rovine antiche, perchè lì c'era ancora il rischio di prendersi la malaria e glielo dissero. Ma Dante lo sapeva già, purtroppo e si fece ancora più triste: proprio in quella piana malsana si era preso la malaria il suo amico/collega Guido, quando era stato esiliato a Sarzana. Gli mancava tanto il suo amico/collega.
E allora il suo accompagnatore istruito, un po'per lenire la tristezza ,gli raccontò di quella grande Babilonia che un tempo era la città di Luna, del marmo più bello del mondo che dal suo porto veniva imbarcato per ogni dove, di quell'anfiteatro, di cui loro potevano vedere solo un arco che spuntava. Lì dove un tempo era tutto un via vai di soldati, mercanti, puttane di lusso, direttori amministrativi, che in settemila addirittura trovavano posto a sedere lì, dentro all'anfiteatro.
E lui, il Poeta, che pur a suo modo, un po'inconsapevole, lui suo malgrado, era pur sempre un figlio di Sant'Agostino, come lo erano un po'tutti nel Medioevo, aristotelici d' ogni risma compresi, pensò alla vanitas mundi, alla città pagana ricca e bella e doverosamente andata in rovina, a fronte della Città Celeste. E pensò a Guido. E pensò alle cose che passano.
Che poi già Agostino si era chiesto: "ma perchè Dio ha aiutato tanto i Romani che erano pagani?!" Che Agostino ha questo vezzo di porsi domande a cui non si può rispondere:"Ma cosa faceva Dio prima di creare il mondo?" e poi si risponde da solo:"Va beh, noi non possiamo saperlo". E Dante stesso avvertì un po'di livore, perchè comunque anche in quella giornata grigia d'un autunno precoce, le poche mura rimaste, rivelava una ricchezza materiale che si percepiva ancora.
E tornarono al castello a Fosdinovo e nella sua stanza il Poeta ripensando alle cose che passano, agli amici che perdiamo, scrisse di Luna e la assunse come esempio di città morta. Ma io non so per quale motivo, forse perchè gli tornava meglio,ma vi cambiò nome e scrisse Luni.

«Se tu riguardi Luni ed Urbisaglia
come son ite, e come se ne vanno
dirietro ad esse Chiusi e Sinigallia

udir come le schiatte si disfanno
non ti parrà nuova cosa né forte,
poscia che le cittadi termine hanno.

Le vostre cose tutte hanno lor morte
sì come voi; ma celasi in alcuna
che dura molto, e le vite son corte».

E allora, da Dante in poi ogni pennivendolo, ogni scribacchino di terz'ordine che parla di Luni, ne parla come una città morta.
A parte il mio amico Franco Romanò che è un Poeta vero e dirige la rivista "Il Cavallo di Cavalcanti" e lui lo sa che le parole sono importanti e ha saputo cogliere la "divini gloria ruris" della Luni odierna e metterla in versi di serenità, memoria e attesa .
Ora ai tempi di Dante gli autoctoni la pensavano come lui, quindi non si fecero problemi per la nomea di città morta.
Del resto della Val di Magra il Poeta parlò poco, ma ne parlò decisamente meglio.
I suoi accompagnatori un giorno lo portarono fin sul Caprione, com'è noto, a Punta Corvo. Da lì secondo me presero quel sentiero che porta fino alla Gruzza ( località oggi detta "Amagama") e così Dante si affacciò sul Golfo (che non si chiamava ancora "Golfo dei Poeeti") e guardò le rocce che cadevano a strapiombo sul mare e respirò il profumo dei pini d'Aleppo, stropicciò tra le mani un ramoscello di lentisco e posò lo sguardo su quella distesa sterminata di mare e cielo.
E quella visione dell'Assoluto, che può pigliare a chiunque si affacci alla Gruzza, gli restituì nella sua finitudine umana, l'Infinito, l'Eterno . Si riconciliò con se stesso,con le scelte dolorose del passato, il suo impegno civile, prima che politico di adoperarsi per garantire la pace nella sua città. Si risollevò il Poeta, gli si placarono un poco i dubbi che tormentavano il suo esilio, quasi in modo più doloroso, che non l'essere lontano dagli affetti più cari.
E confidò tuttavia che tra le maglie di quell'Assoluto, intravisto lassù a la Gruzza, ci fosse un posto anche per Guido.
Girò la mia terra il Poeta e ne assaggiò i vini diversi e ne gustò i vari tipi d'olio su un pezzo di pane. Gli piacque più di ogni altro, quello che si produce ancora oggi sopra a una collina di San Martino. Gli piacque così tanto che avrebbe voluto magnificarlo quell'olio nei suoi versi e lo disse al contadino ortonovese il quale però non volle: "Se no i vegno tuti chi!".
Che erano poveri gli autoctoni, oltretutto vessati, da una parte c'era il vescovo di Luni, dall'altra i Malaspina di Fosdinovo, che erano in confllitto tra loro, per decidere chi dei due avesse il dominio su quelle povere anime liguri apuane. A chi andavano pagate le tasse, insomma.
Gente litigiosa,'sti liguri apuani, accidenti! Pure il vescovo di Luni, che per altro già da un secolo se ne era andato via da Luni ed era riparato a Castelnuovo Magra in collina, causa malaria, mentre il capitolo della diocesi se ne era andato a Sarzana. Ma come il vescovo da una parte, il capitolo della diocesi dall'altra, il tutto senza autorizzazione papale!
Gente refrattaria alle istituzioni i liguri apuani! Che veramente il vescovo l'aveva anche chiesta l'autorizzazione, ma il papa non gliela diede per una vecchia ruggine e allora lui stufo di aspettarla nel 1204 se l'era mollata da Luni, ma non era di certo andato a Sarzana, perchè i sarzanesi il vescovo di torno non lo volevano. Ne hanno pure ammazzato uno nel corso della loro storia. E così lassù a Castelnuovo, da più di un secolo si davano il cambio i vescovi di Luni, che di Luni conservavano solo il nome.
A chi venne l'idea non lo so, ma secondo me venne proprio a lui, che di politica se ne intendeva sicuramente più dei miei concittadini "duri atque agrestes". Fu questo, credo, il suo modo per ricambiare questa terra che l'aveva ospitato. Si Dante pensò :"C'è un conflitto?Volete la pace? E pace sia!". O forse furono invece proprio i miei concittadini, che magari proprio non hanno capito bene la levatura del personaggio che avevano davanti, liguri apuani com'erano, però qualcosa hanno intuito, quella luce l'hanno vista.
E fu così che Dante ci finì di mezzo. Ed era una bella giornata d'ottobre di quel 1306,sulle sponde del torrente Calcandola a Sarzana, cioè più o meno vicino a casa mia, quando lui, come uomo, entrò nella storia della Val di Magra, firmando un trattato di pace tra i marchesi Malaspina e i vescovo di Luni.
E così, in qualche misura, come firmatario di un trattato di pace, riparò anche al fatto di aver cantato Luni come una città morta e desolata.
Ma avere Dante come firmatario di pace, nella propria tradizione, non è cosa da tutti, perchè Dante è il Poeta della Pace. Quella interiore a cui anela l'uomo che si smarrisce "nel mezzo del cammin...", quella pace politica che Dante ha cercato, per cui si è adoperato, che tanto gli è costata. E quella pace cosmica che si articola e culmina nell'impianto della sua opera più grandiosa,a cui devo dire, un certo contributo l'ha dato senza dubbio, quel passaggio per la Gruzza.


Alla fine i sarzanesi, volenti o nolenti si beccarono il vescovo. Ebbero pure un loro papa, Nicolo V, al secolo Tommaso Parentuccelli, al quale è intitolato oggi uno dei due licei classici che abbiamo fatto io e la Ele. Sistemò un po'le cose, cancellò Luni come diocesi e al suo posto nominò Sarzana. Se non che poi toccò ai sarzanesi perdere definitivamente il vescovo, quando durante il ventennio fascista la sede vescovile fu portata a La Spezia, città che si è sviluppata nel medesimo periodo e ne porta ancora la fisionomia urbana.
C'è anche chi dice che fu una sorta di punizione quella di togliergli la diocesi ai sanzanesi, perchè, ovviamente liguri apuani, quando il 21 luglio 1921 gli arrivò in stazione una colonna di 600 fascisti, i carabinieri e la popolazione li rispedirono al mittente, anche con l'ausilio di forconi e penati.
E così oggi il vescovo è a La Spezia, a in compenso Sarzana che è una cittadina bellissima c'è la movida, e la chiamano anche "la piccola Atene". Però come incarico onorifico è ancora in vigore il titolo di "arcivescovo di Luni", del resto è una diocesi antichissima, dato che San Eutichiano, eletto papa nel 275, ben prima dunque che Costantino facesse, come ha detto Dante "la sua conversion", era di Luni.
Non so se mi spiego: San Eutichiano di Luni e Nicolò V di Sanzana, ovvero, due papi in 6 km! Che noi non siamo mica tantissimi da queste parti, voglio dire, è una bella media.
Che dici "non c'è due senza tre" e io quasi quasi confidavo che l'arcivescovo di Luni avanzasse di grado...
Si chiama Edward Novak, l'arcivescovo di Luni. Polacco. Ha questo titolo e chissà quanti altri.
Che io non lo so se lui lo sa, c'è un corso curioso e bello della Storia, da Dante che ha firmato la pace dei Vescovi di Luni a lui, che invece ha firmato un altro documento, insieme a Ruini (che non è che incontri invece proprio le mie simpatie), ossia la richiesta di beatificazione per Giovanni Paolo II. Quindi da Dante, al papa che ci ha lasciati tre anni fa, il nome di Luni incontra e si accompagna, almeno sulle carte, a due grandi uomini di pace.
E come diceva la mia professoressa d'italiano del liceo "Non vi fidate mai, di chi non ama Dante!"


n.d.r. la città gemella di Luni nei versi di Dante, Urbisaglia, merita assolutamente di essere visitata, per molte ragione, ma soprattutto perchè da quelle parti producono vini eccellenti e una ricotta salata che è uno spettacolo

di Franco Romanò ho il link http://www.bloggers.it/zeppo1947 a destra dello schermo(alle volte non funziona), se volete la poesia su Luni potete chiederla a lui, io non posso scriverla qua per motivi di copyright, ma via anticipo che parla anche "della giovane vestale..."

5 commenti:

kabalino ha detto...

pensa che noi, qui a ravenna, ospitiamo le sacre spoglie del Poeta...figurati il nostro complesso di essere inadeguati.
Bello questo episodio...
:)

Sara ha detto...

Andavano più o meno descritti i fatti, i documenti storici sono quelli che sono, quindi ho dovuto invocare il genius loci...

Anonimo ha detto...

Nicolò V di Sanzana o sarzana??????

Sara ha detto...

Sarzana!

Anonimo ha detto...

che significa sanzana???